giovedì 11 ottobre 2007

LE VERGINI PETRARCHESCHE

LE VERGINI PETRARCHESCHE

Laude filippine e madrigali spirituali attorno al Palestrina

FESTIVAL INTERNAZIONALE
DI POLIFONIA E MUSICA ANTICA
Palestrina (ROMA), 11 ottobre 2007



PROGRAMMA


Cristoforo Montemayor, Vergine bella,
Madrigale spirituale per la Natività della Vergine, 1600.

Anonimo, Vergine al parto tuo,
Lauda strofica, 1589.

Scipione Dentice, Vergine dolce e pia,

Lauda strofica (SATB) per la Madonna del Rosario, 1600.

Anonimo, Vergine che di lume puro,

Lauda strofica (SAT), 1589.

Marino da Corigliano, Vergine del vero sol,

Lauda strofica (SATB) per la Natività della Vergine, 1600.

Mico Montelli, Vergin donna,

Lauda strofica (SAB) per l’Assunta, 1599.

Baldassare Donato, Vergine Dea,

Madrigale spirituale (SATB) per l'Assunta, 1600.

Giovanni Pierluigi da Palestrina, Le “Vergini” di Petrarca

in I Libro di Madrigali spirituali (SATTB) a 5 voci, 1581.

Il programma proposto ha una forte valenza letteraria, oltre che musicale, essendo centrato sul celeberrimo testo delle cosiddette “Vergini” tratte dal Canzoniere di Francesco Petrarca (1304-1374). Se tutta la lirica del Petrarca è “un sommesso colloquio del poeta con la propria anima”, è ben vero che queste Rime sparse, sono “il più alto e ricco monumento di lirica psicologica nella storia letteraria universale”; se tutto il Canzoniere può essere definito nella sua sostanza “una storia d’amore” (Sapegno), questo vale a maggior ragione per l’ultima Canzone, la numero 366 dell’ordinamento voluto dal poeta stesso.

Essa rappresenta il culmine ideale di un percorso di purificazione e approfondimento nella vita interiore di Petrarca inaugurato dal sonetto Voi che ascoltate, proemio (o epilogo) della raccolta, e concluso idealmente, a coronamento di un’esistenza, ai piedi della Beata Vergine Maria. Ad uno sguardo più ravvicinato, la canzone CCCLXVI si presenta strutturata in dieci stanze di tredici endecasillabi e settenari rimati in modo regolare, chiusi da un commiato di sette versi. Eccettuata quest’ultima breve strofa, in tutte le altre i versi 1 e 9 iniziano con la parola “Vergine”, donde il nome della sequenza.
Essa è insieme canzone, lauda, inno ed elegia; canta le lodi della Vergine Maria ma narra anche lo stato d’animo del poeta; i primi otto versi di ogni stanza sono per lo più la sede delle lodi, mentre gli ultimi cinque, introdotti anch’essi da “Vergine” hanno l’intonazione della preghiera.
I versi di Petrarca sono gremiti di citazioni e assonanze bibliche, patristiche, liturgiche, teologiche e dantesche. Oltre ai classici loci della mariologia, come il libro dell’Apocalisse o il Cantico dei cantici, abbondano gli echi di teologi del calibro di S. Agostino, S. Ambrogio, S. Leone Magno, ma anche dei grandissimi cantori della Vergine cronologicamente più vicini al poeta come S. Pier Damiani, S. Anselmo e S. Bernardo.
Vi si trovano naturalmente citate le antifone mariane, in primis Salve Regina, Alma Redemptoris Mater, Ave Maria e gli inni Praeclara costos virginum e Ave maris stella; si allude anche ai dibattiti teologici, ad esempio sposando la tesi che la causa prossima dell’Incarnazione del Figlio di Dio sia il peccato di Adamo (vv. 76-78).
Da ultimo va ricordata la vicinanza con la Divina Commedia, particolarmente con la preghiera alla Vergine di San Bernardo. Di fronte a questa canzone petrarchesca si ha la netta consapevolezza di trovarsi davanti a un un capolavoro assoluto della poesia cristiana, forse secondo solo, appunto, a Vergine Madre, figlia del tuo Figlio, nell’ultimo canto del Paradiso. La lauda, fiorita nei secoli XV e XVI come varietà della ballata di contenuto religioso, si presenta in strutture strofiche con metri regolari; si differenzia chiaramente dal madrigale (spirituale, in questo caso) formato da due o tre terzine variamente rimate, chiuse da uno o due distici in rima baciata.
I testi qui proposti nella prima parte del concerto, pur dedicati a un contesto popolareggiante quale l’ambiente dell’Oratorio filippino, sorprendono spesso per la raffinatezza, la profondità e la ricchezza di sentimenti che riescono a descrivere con sincera umanità e pia devozione. Le fonti d’ispirazione sono ovviamente comuni alle Vergini petrarchesche, ma in molti casi si nota una dipendenza quasi letterale se non un’esplicita citazione, come è palese ad esempio nel caso di Scipione Dentice. Probabilmente la religiosità di Petrarca così irrequieta anche se autenticamente fervida, la sua umanità così fiduciosa ma anche tormentata e complicata, trova una singolare consonanza nella spiritualità di fine ‘500, secolo drammatico, inebriato dalle scoperte dell'ingegno umano e dell'arte classica e pagana, ma in crisi radicale per il mutamento della mentalità, dove provvidenzialmente s’inserisce l’opera di San Filippo Neri (1515-1595). Un’ulteriore riprova dell’enorme fortuna dei versi mariani del poeta aretino.
Dal punto di vista più strettamente musicale, vengono qui giustapposte le due forme tipiche della polifonia sacra in volgare, dunque non liturgica, che ebbero una grandissima fioritura nel post-Concilio di Trento, proprio a partire da Roma e dall’Oratorio. Le laudi, piccoli gioielli musicali, promosse da S. Filippo allo scopo di rinvigorire la fede e la coscienza dei fedeli, venivano cantate collettivamente prima e dopo il sermone e la discussione.
Presentano uno stile semplice e piano, mai banale; spesso sono opera di compositori di tutto rispetto, che molte volte hanno lasciato le loro note nell’umiltà dell’anonimato. Furono raccolte in una decina di libri ad uso degli oratori, tra cui il Libro delle Laudi Spirituali raccolte da F. Soto (1589), il Tempio Armonico di G. Ancina (1599) e le Nuove Laudi Ariose della B.ma Vergine di G. Arascione (1600). I madrigali spirituali d’altro canto hanno un più chiaro intento artistico, essendo coltivati soprattutto presso ricche case private, accademie e corti aristocratiche. Spesso animavano i ricevimenti nelle dimore di ecclesiastici romani, soprattutto durante il carnevale. Nel contesto della sobrietà raccomandata dalla Riforma cattolica, per cui si tendeva a limitare i prestiti nella liturgia delle più avanzate forme compositive secolari, i madrigali di argomento morale o spirituale consentivano di raggiungere vette di espressione ed intensità emotiva almeno pari a quella dei corrispettivi profani. Il ciclo palestriniano che apre Il libro primo dei madrigali (spirituali) a 5 voci (1581) mette in musica le prime otto stanze di Petrarca: lo stesso testo era già stato cantato da importantissimi compositori quali Guillaume Dufay (1397-1474) che musicò Vergene bella, la sola prima stanza, a tre voci (1470) e Cipriano de Rore (1515-1565), che presentò l’intero ciclo nel suo III libro di madrigali a cinque voci (1548), con il semplice titolo di Vergini.

Giovanni Pierluigi da Palestrina (ca.1525-1594) nella sorprendente coerenza stilistica che caratterizza la sua produzione trasferisce anche nel madrigale il suo modo peculiare di comunicare stati d’animo, inflessioni psicologiche e suggestioni liriche non in maniera diretta bensì trasfigurata. L’architettura modale e il fine equilibrio del flusso contrappuntistico risolvono la descrizione testuale in un sobrio contegno che può lasciare al suono il compito di veicolare il significato profondo della parola: le Vergini sono un capolavoro della produzione matura del Prenestino, degno della preghiera petrarchesca.
Jonathan Pradella